Il Disturbo di Dismorfismo Corporeo è grave, la sua diffusione è sottovalutata ed è poco studiata sia dagli psicoterapeuti che dai farmacologi e i pazienti chiedono aiuto a specialisti diversi da quelli che si occupano di salute mentale.
Nel DSM-5 (APA, 2014) il disturbo di dismorfismo corporeo è stato inserito nella categoria dei disturbi ossessivo compulsivi e disturbi correlati e diagnosticato con i seguenti criteri:
Preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico che non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve;
A un certo punto, durante il decorso del disturbo l’individuo ha messo in atto comportamenti ripetitivi (ad esempio, guardarsi allo specchio; curarsi eccessivamente del proprio aspetto; stuzzicarsi la pelle, ricercare rassicurazioni) o azioni mentali (ad esempio, confrontare il proprio aspetto fisico con quello degli altri) in risposta a preoccupazioni legate all’aspetto.
La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti;
La preoccupazione legata all’aspetto non è meglio giustificata da preoccupazioni legate al grasso corporeo o al peso in un individuo i cui sintomi soddisfano i criteri diagnostici per un disturbo alimentare.
Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali richiede di specificare se il disturbo è presente con dismorfia muscolare e con quale grado di insight. Nel primo caso l’individuo è preoccupato dall’idea che la sua costituzione corporea sia troppo piccola o insufficientemente muscolosa, mentre il grado di insight è classificato in buono o sufficiente (l’individuo riconosce che le convinzioni relative al Body Dysmorphic Disorder (BDD) sono decisamente o probabilmente non vere o che possono o non possono essere vere), scarso (l’individuo pensa che le convinzioni relative al disturbo siano probabilmente vere), assente con convinzioni deliranti (l’individuo è assolutamente sicuro che le convinzioni circa il BDD siano vere) (APA, 2014, p. 280).
Il disturbo è stato studiato in modo continuo e sistematico solo negli ultimi due decenni. Le conoscenze sulle caratteristiche cliniche, l’epidemiologia e il trattamento sono cresciute, e iniziano a emergere significativi dati neurocognitivi e neurobiologici.
Alcuni studi epidemiologici hanno riportato una prevalenza di punto che va da 0,7% a 2,4%. Secondo tale prevalenza il disturbo di dimorfismo corporeo è dunque più comune di disturbi come la schizofrenia o l’anoressia nervosa (APA, 2000).
Il disturbo è presente con una prevalenza che varia dal 9% al 12% nei pazienti dermatologici, dal 3% al 53% nei pazienti sottoposti a interventi di chirurgia estetica, dall’8% al 37% in soggetti con disturbo ossessivo compulsivo, dal 10 al 13% nei soggetti con fobia sociale e dal 14% al 42% in quelli con disturbo depressivo maggiore ( APA, 2014).
Il BDD può essere un po’ più comune nelle donne, ma colpisce anche molti uomini. I maschi hanno più probabilità di avere preoccupazioni legate ai genitali, mentre le femmine hanno più di frequente un disturbo alimentare in comorbidità (APA, 2014).
Inoltre il rischio relativo di presentare il disturbo cresce tra coloro che non sono sposati, tra i divorziati e tra i disoccupati (Scarinci, Lorenzini, 2015). Quindi sembra che situazioni di frustrazione e perdita e il vissuto di non accettazione possano esprimersi nel disturbo.
La dismorfofobia comincia solitamente durante l’adolescenza, l’età media all’esordio è di 16 anni con un decorso cronico, se non viene trattata.
E’ spesso in comorbidità con altri disturbi mentali. La più comune è con il disturbo depressivo maggiore (75%); seguono i disturbi da uso di sostanze (dal 30% al 48,9%); il disturbo ossessivo compulsivo (dal 32% al 33%); la fobia sociale (dal 37% al 39%), i disturbi del comportamento alimentare e i disturbi di personalità (Wilhelm, Phillips, Steketee, 2013).
L’eziopatogenesi del disturbo è legata all’identità e costruita in relazione al corpo. L’attribuzione estetica che si forma sulle rappresentazioni definisce l’autoimmagine che è parte dell’autostima e predica sul valore personale.
Una minaccia all’immagine di sé comporta un danneggiamento all’autovalutazione positiva con la necessità di adottare comportamenti di salvaguardia che tendano a ripristinare un’immagine che, sia nel confronto sociale, sia nell’assunzione delle valutazioni altrui su di sé, possa uscire conforme agli standard e soddisfacente.
I processi di valutazione affettiva del proprio corpo possono generare cognizioni e comportamenti automatici ricorsivi disfunzionali anche per l’influenza della cultura d’appartenenza. Non è forse un caso se negli ultimi tempi questa patologia si è largamente diffusa. Nella nostra società il look è definito da canoni estetici rigidi, quasi autoritativi che impongono un rispetto assoluto pena l’esclusione e la svalutazione.
E ‘ stato riscontrato che un’effettiva discrepanza con l’ideale dell’immagine corporea è correlata a sintomi e a sentimenti di insoddisfazione e alcune caratteristiche della self discrepancy possono determinare, oltre a un’instabilità emotiva, anche una deiezione del soggetto, un modo di essere inautentico che sfocia in un’estraneazione dal mondo e dagli altri (Scarinci, Lorenzini, 2015).
Molti sono gli stati emotivi che il soggetto sperimenta spesso con forte intensità.
La percezione di avere qualcosa che non va rende diversi e mette inevitabilmente fuori dal gruppo, e l’emozione della vergogna pervade il soggetto. La perdita di un’immagine corporea bella lo rende triste e quando si rende conto di essere affetto da un disturbo grave l’intensità assume livelli ancora più intensi. La consapevolezza che il problema sia gravissimo e dunque comprometta molti degli scopi del BDD comporta un’intensa ansia e comportamenti di controllo del corpo per verificare l’evoluzione del problema. Inoltre l’invidia chiude il soggetto in un isolamento rancoroso.
Le emozioni sperimentate più intensamente, sono correlate preminentemente a due sistemi motivazionali interpersonali (Liotti, Monticelli, 2008): il sistema di rango (vergogna, invidia, tristezza da sconfitta, paura da giudizio) e il sistema di attaccamento (rabbia, tristezza da perdita).
In definitiva, il dismorfofobico avverte uno specifico difetto ben circoscritto (poco importa se del tutto inesistente o lievemente presente) che rende impossibile l’esistenza. Il difetto diventa il concentrato di tutto quello che nel soggetto non va.
Di fronte ad un compito esistenziale importante, ad esempio l’uscita dalla famiglia e la collocazione nel mondo, il soggetto può sperimentare un’angoscia profonda. Tutta la sua identità ed il suo valore sono messi in gioco e se i processi di assimilazione e accomodamento di questa esperienza dirompente falliscono può vivere qualcosa di simile all’umore predelirante. Quando l’insight è scarso o assente si affaccia l’esperienza dell’eureka e la nascita del delirio che permette di salvare la propria identità con un ragionamento del tipo: non sono io che non vado bene, è la mia cicatrice che mi rende orribile e inaccettabile e se riuscirò a eliminarla tutto andrà a posto.
L’intervento con questi pazienti presuppone, perciò, una rielaborazione cognitiva e la critica agli errori di valutazione che dovrebbe portare all’accettazione della propria identità, vero problema sottostante all’espressione sintomatologica (per un approfondimento del trattamento si veda Scarinci, Lorenzini, 2015).
Dott. Umberto Pianella
Psicologo, Psicoterapeuta, a Civitanova e a Macerata.
www.umbertopianella.com
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